IL CASO BRAIBANTI

 Titolo B

di Massimiliano Palmese

con Fabio Bussotti e Mauro Conte
musiche composte ed eseguite dal vivo da Mauro Verrone

regia Giuseppe Marini

IL CASO BRAIBANTI rievoca uno dei più clamorosi scandali giudiziari della storia italiana del Novecento. Con un testo tutto costruito su documenti d’archivio, lettere e arringhe, Massimiliano Palmese ha ripercorso il processo a cui fu sottoposto nel 1968 Aldo Braibanti, accusato di “plagio” ai danni del suo giovane amante Giovanni Sanfratello. In scena Fabio Bussotti e Mauro Conte, nei panni dei due protagonisti, danno voce anche a tutti gli altri personaggi della vicenda, mentre le musiche di Mauro Verrone eseguite dal vivo da Stefano Russo fanno de IL CASO BRAIBANTI, diretto da Giuseppe Marini, uno spettacolo-concerto dedicato a un intellettuale schivo e appartato, la cui vicenda ricorda da vicino quella di Pier Paolo Pasolini.
Nell’ottobre del 1964 Aldo Braibanti – ex-partigiano torturato dai nazifascisti, comunista e omosessuale, artista, poeta, appassionato di filosofia e studioso della vita delle formiche – venne denunciato “per aver assoggettato fisicamente e psichicamente” il ventunenne Giovanni Sanfratello. In realtà il ragazzo, in fuga da una famiglia ultraconservatrice e bigotta, si era deciso a seguire le sue inclinazioni e, raggiunta la maggiore età, era andato a vivere a Roma con Braibanti. Non riuscendo a separare la coppia, il padre di Giovanni denunciò l’artista-filosofo con l’accusa di “plagio”, reato risalente al Codice Rocco del periodo fascista, e intanto sottopose il ragazzo a rigide cure psichiatriche per “guarirlo” dalla sua omosessualità. Il processo a Braibanti si aprì il 12 giugno 1968, mentre infiammava la Contestazione e i giovani di tutto il mondo chiedevano a gran voce più ampie libertà. Davanti alla Corte sfilarono familiari, preti, medici e testimoni corrotti, e Aldo Braibanti finì col divenire il capro espiatorio di un duro scontro generazionale. Molti intellettuali denunciarono lo scandalo di un processo montato dalla destra più reazionaria del Paese in combutta con esponenti del clero e della “psichiatria di regime”: in favore di Braibanti intervennero sulle colonne dei giornali Umberto Eco, Dacia Maraini, Elsa Morante, Alberto Moravia, Cesare Musatti, Marco Pannella, Pier Paolo Pasolini. Tutti i loro appelli caddero nel vuoto.

Nota
“L’Italia non ricorda”, è una delle prime battute che ho dato ad Aldo Braibanti, nel testo a lui dedicato. Quando mi sono imbattuto nel “caso Braibanti”, mi è infatti sembrato singolare che di una pagina altamente istruttiva della nostra storia si parlasse così poco, e che fosse ricordata solo dai più adulti o dagli studiosi.
Per fortuna internet ha reso disponibili documenti interessanti, e prezioso è stato per me il saggio di Gabriele Ferluga, “Il processo Braibanti”. Poco o niente c’è nel testo teatrale, infatti, che non provenga direttamente dagli atti del processo, o da articoli di giornale con interviste ai protagonisti o commenti che intellettuali ed artisti hanno riservato alla discussa sentenza. Le lettere di Braibanti alla madre sono originali, e la poesia finale è dell’autore. Questa volta non ho voluto “inventare”: mi sembrava che si dovesse trovare solo il giusto tono, un equilibrio tra satira di costume e dramma psicologico, per tenere insieme le parole degli avvocati – così violente – insieme alle loro tesi – così ridicole. Sono a tratti divertenti gli interrogatori e le arringhe, mentre sono agghiaccianti le dichiarazioni omofobiche dei cosiddetti “periti”. Per non parlare delle cartelle cliniche firmate dagli “specialisti in malattie nervose” delle cliniche dove fu rinchiuso il giovane Giovanni Sanfratello.
La mia conclusione è che il processo Braibanti fu una vicenda medioevale. Nel ’68, mentre il mondo si trasformava in un luogo meno repressivo, in Italia bastò una “cricca” di avvocati, di psichiatri e di preti, per trasformare una storia d’amore in un “Romeo e Giulietta” omosessuale, in cui i padri per punire i figli non esitano a denunciarli per “plagio” o a sottoporli a coma insulinici ed elettrochoc. E, se ancora oggi nel nostro Paese le stesse cricche politiche, reazionarie e ipocritamente bigotte, si oppongono a una seria legge contro l’omofobia o alle unioni civili per i gay, vuol dire che IL CASO BRAIBANTI non è una pagina del passato ma storia presente che può deve, ancora, farci indignare.

Massimiliano Palmese

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IL CASO BRAIBANTI

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COSì LA STAMPA

“…un bello spettacolo di Massimiliano Palmese. Un testo narrativo costruito su documenti, lettere, arringhe, che la regia di Giuseppe Marini rende vivo solo con precise caratterizzazioni delle voci che via via assumono i due protagonisti, Fabio Bussotti e Mauro Conte, sempre intensi e veri, mai retorici. Questo grazie anche a un bel ritrmo incalzante, che crea tensione, sostenuto dal sax di Mauro Verrone, che interviene dal vivo”.

Paolo Petroni, Il Corriere della Sera

“…Massimiliano Palmese l’ha costruito sugli atti del processo che incuriosì l’Italia smemorata, affidandolo alla regia di Giuseppe Marini e alla tensione forte di Fabio Bussotti e Mauro Conte. Concertato per sentimenti, parole musiche di Mauro Verrone che Stefano Russo esegue in scena. Duetto pudico che si fa storia, lasciando avvocati e vittime a dire di una sopraffazione e di un dolore. Martirio civile che non dovremmo dimenticare. Per insegnare il rispetto a chi non sa“.

Giulio Baffi, la Repubblica

“Una drammaturgia sobria, elegante, immediata”.

Angela Di Maso, il Roma

“Grazie ad una scrittura asciutta e coinvolgente, in grado di alternare, con uguale forza, momenti di commedia e momenti estremamente drammatici, e grazie all’apprezzabile ed intensa interpretazione dei protagonisti (gli ottimi Fabio Bussotti e Mauro Conte), lo spettacolo sprigiona una straordinaria potenza espressiva ed entra nell’alveo della migliore tradizione del teatro civile e militante”.

Alessandro Grieco, teatro.org

“Fa rivivere ‘Il caso Braibanti’ in chiave drammaturgica lo scrittore Massimiliano Palmese in un mirabile atto unico (…) per l’efficace regia di Giuseppe Marini e un’impagabile interpretazione di Fabio Bussotti e Mauro Conte. (…) Con grande forza mimetica, i due protagonisti, sempre in scena unitamente al musicista Mauro Verrone, recitano anche la parte degli avvocati, dei preti, dei genitori, caratterizzandoli grottescamente nelle rispettive inflessioni dialettali. Ne fuoriesce uno spaccato di Italia clericale e omofoba, che tanti atei devoti vorrebbero perpetuare anche ai nostri giorni”.

Franco Buffoni, Nazione Indiana

“Palmese ha ripreso gli atti del processo, gli articoli di giornale, le lettere che Braibanti scrisse alla madre, i commenti dell’epoca e ne ha fatto un testo di alto valore civile”.

Paola Spedaliere, arteatro.eu

“Lo spettacolo teatrale di Palmese ricostruisce meticolosamente i fatti avvalendosi di articoli, atti del processo, interviste e documenti originali dell’epoca, comprese le cartelle cliniche degli specialisti. Trasfigura in un dramma un caso emblematico dell’Italia dell’epoca, la stessa nella quale Pier Paolo Pasolini, che, pure si era schierato a difesa del perseguitato Braibanti, perderà la vita qualche anno dopo, in circostanze che tutt’oggi appaiono controverse. Se “l’Italia non ricorda”, come si recita nelle prime battute, lo spettacolo offre una testimonianza che serva a non dimenticare un pezzo della storia giudiziaria, aggiungendo un tassello importante al mosaico della memoria collettiva”.

Angela Marino, Caffè news

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